domenica 13 novembre 2016

Cinque tra i film thriller più belli di sempre

Ecco quelli che secondo noi sono i cinque film thriller più belli di sempre: vota il tuo preferito e poi leggi l'articolo per scoprirne tutti i dettagli.

 
Il thriller è un genere che gode da sempre di grande attenzione da parte del pubblico. Nel buio delle sale cinematografiche è infatti piacevole sentire il brivido della tensione che ti sale lungo la schiena, stringere forte la mano al partner e sperare che l’eroe riesca nella difficile impresa di salvare il mondo o la sua stessa vita, riuscendo anche ad arrestare il cattivo di turno.

Giallo più suspense

Derivato dal giallo, a cui unisce una carica di tensione e suspense più forti, il thriller al cinema ha vissuto il suo primo vero momento di gloria nel dopoguerra, quando un maestro come Alfred Hitchcock ne definì i ritmi, i temi, le ambientazioni. Da lì in poi molti hanno tentato di imitare lo stile del regista inglese, qualcuno con più successo e qualcuno con meno. Poi, negli anni ’90, si è assistito a una sorta di rinascita del genere, che ancora oggi, con registi come Christopher Nolan, continua a stupire e incantare.

Quali sono stati, però, i film thriller più belli e importanti di sempre? Come al solito, quando si affrontano domande di tale portata bisogna un po’ mettere da parte i propri gusti personali e i propri dubbi critici, e scremare con grande generosità, cercando anche di dare una panoramica esaustiva. Abbiamo quindi selezionato cinque film che vanno dagli anni ’50 ad oggi, per la maggior parte americani – perché Hollywood è la patria del genere – ma con una deviazione in Germania. Ecco le nostre scelte.


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Le vite degli altri (2006)

Il dramma di Berlino Est

Partiamo dal più recente dei film che abbiamo scelto, Le vite degli altri, scritto e diretto nel 2006 da Florian Henckel von Donnersmarck e premiato con l’Oscar per il miglior film straniero. Il film può sembrare, all’apparenza, un banale film di spionaggio. Ed in effetti il protagonista assoluto della pellicola è Ulrich Mühe, l’attore che interpreta un capitano della Stasi, l’organizzazione di spionaggio interno della Germania Est.

Ma la pellicola non è uno dei classici film alla James Bond. La storia è quella, infatti, di uno scrittore che vive nella Berlino Est dei primi anni ’80 e che viene messo sotto controllo appunto da Gerd Wiesel, il capitano della Stasi. L’obiettivo è sia quello di controllarlo, sia quello di trovare qualche prova per incriminarlo. Pian piano, però, Wiesel inizia a sentire una sorta di vicinanza verso quell’uomo che lo porterà anche a cercare di difenderlo dal meccanismo totalitario dello Stato per cui lavora.

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Neppure la trama, però, rende pienamente l’idea del film. Che è davvero un thriller, in cui la presa di coscienza politica è solo uno dei tanti dettagli – emotivi, sociali, personali – che vanno a comporre un complesso puzzle. La vita sia del capitano Wiesel che dello scrittore Georg Dreyman è infatti costantemente a rischio, per tutto il film, perché la possibilità di essere scoperti è sempre dietro l’angolo. E il loro rischio è un po’ anche il nostro, perché questi personaggi non possono lasciarci indifferenti.

 

Terminator 2 – Il giorno del giudizio (1991)

Quando la suspense si mescola con l’azione

Dopo un thriller che mescola spionaggio, politica e sentimenti, passiamo a un altro tipo di film di suspense, quello d’azione. Terminator 2 – Il giorno di giudizio appartiene infatti a una fitta schiera di pellicole che all’inizio degli anni ’90 rinnovarono un genere che nel decennio precedente aveva perso un po’ del suo smalto. Negli anni ’80, infatti, non era mancata la suspense, ma la si era declinata soprattutto in un’ottica spettacolare e violenta, fatta di palazzi che scoppiano e di novelli Rambo in azione.

Terminator 2, scritto e diretto da James Cameron (con l’apporto alla sceneggiatura di William Wisher jr.), seppe riprendere questi elementi, riportando però il baricentro sul lato della tensione più che dello shock. Oltre agli inseguimenti, ai tentativi di omicidio e ai colpi di scena, qui – come in tutta la serie di Terminator – c’è la tensione per un futuro già scritto che bisogna riuscire in qualche modo a cambiare.

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Come probabilmente saprete, alla base di questo secondo capitolo c’è l’arrivo nel presente non di uno ma di due diversi Terminator, un T-800 che ha il compito di difendere il giovane John Connor e un T-1000 che ha invece ricevuto l’incarico di eliminarlo. L’azione e la tensione sono sempre in perfetto equilibrio, così come la direzione di Cameron e le interpretazioni di Arnold Schwarzenegger, Linda Hamilton e Edward Furlong, i tre protagonisti.

 

Il silenzio degli innocenti (1991)

Tra psicologia e serial killer

Thriller puro è invece Il silenzio degli innocenti, uscito sempre in quell’anno di grazia che è stato il 1991. Un thriller che derivava a sua volta da un ottimo libro dello stesso genere, scritto da Thomas Harris all’interno di una serie piuttosto ampia dedicata alla figura di Hannibal Lecter, terribile serial killer famoso per il fatto che divorava le proprie vittime.

La storia, però, è qui in realtà incentrata su un altro omicida seriale, che si fa chiamare Buffalo Bill. Questo maniaco risulta infatti inafferrabile e l’FBI decide di farsi aiutare da Lecter, detenuto in un carcere di massima sicurezza. Per indurlo a collaborare, mandano da lui una giovane agente di belle speranze, Clarice Starling, che riesce effettivamente a farsi aiutare, anche se forse si espone troppo nei confronti dell’ex psichiatra.


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Il film, diretto da Jonathan Demme e sceneggiato dallo specialista Ted Tally, gioca tutte le sue carte sulla psicologia dei vari personaggi. In questo, è memorabile l’interpretazione sia di Jodie Foster che di Anthony Hopkins, entrambi poi premiati con l’Oscar. Un premio che vale in un certo senso doppio per l’attore britannico, visto che Hopkins compare nel film solo per una manciata di minuti, dando comunque una prova memorabile.

 

Psyco (1960)

Una delle tante rivoluzioni di Alfred Hitchcock

Conclusi i capolavori degli ultimi trent’anni, torniamo ora alle origini del genere. Ovvero, ad Alfred Hitchcock. È innegabile infatti che sia stato il regista inglese il primo e più importante autore thriller sul grande schermo. Non che non esistessero generi simili prima di lui. Basti pensare al noir, alla crime story e al giallo, che pure esistevano fin dagli anni ’30. Ma il thriller vero e proprio, puro, non può che identificarsi con Hitchcock.

Da questo punto di vista, la sua produzione è molto ampia. Si va dai primi capolavori inglesi come Il club dei 39 o L’uomo che sapeva troppo a quelli americani, come Rebecca – La prima moglie, Notorious – L’amante perduta o Il delitto perfetto. Noi abbiamo però scelto di concentrarci su due film la cui realizzazione fu forse più difficile, perché la suspense deriva da qualcosa che per l’epoca era decisamente nuovo.

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Psyco, infatti, introduce la figura del serial killer, un elemento chiave del thriller moderno che però fino ad allora nel cinema era comparso raramente. L’unico vero antecedente era forse M – Il mostro di Düsseldorf, la celebre pellicola di Fritz Lang, che però anticipava anche elementi del noir. Psyco introdusse invece un aspetto più psicologico, pur non disdegnando i momenti di tensione.

Memorabili, in questo senso, le scene dell’omicidio sotto alla doccia (forse la più celebre sequenza di tutta la storia del cinema thriller) e il finale. Ma il film non è solo un insieme di maestose scene. È anche la storia di un personaggio, Norman Bates, che ancora oggi influenza il cinema – e non solo il cinema – del brivido.

 

La finestra sul cortile (1954)

L’apoteosi del cinema di Hitchcock

L’altro film hitchcockiano che abbiamo scelto è La finestra sul cortile. Qui, a differenza di quanto avviene in Psyco, la psicologia dell’assassino passa decisamente in secondo piano. Così come non è importante neppure la modalità in cui ha ucciso, né il suo movente. Quello che conta è l’ambiente. E il film l’abbiamo scelto proprio per questo: perché è una profondissima riflessione sul ruolo del cinema e sulle suggestioni – e le paure – che riesce a creare.

La storia, piuttosto nota, è quella del fotografo Jeff Jeffries, costretto da una gamba ingessata a restare fermo nel suo appartamento. Dato il caldo, sia lui che i vicini tengono costantemente le finestre aperte e questo gli permette di osservare la vita degli altri, quasi come la spia del primo film della nostra pellicola. Questa intromissione apparentemente innocente lo porta però a sospettare che un suo vicino si sia macchiato di un tremendo crimine, e ad investigare.

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Il film, che tutti i critici hanno letto nel corso degli anni come una profonda riflessione sul cinema stesso, è un ottimo esempio dello stile di Hitchcock. C’è un eroe che è però limitato da un suo particolare difetto (in questo caso la gamba ingessata, in altri film le vertigini o lo scoprirsi inadatto al ruolo), c’è un rapporto strano e inespresso con l’altro sesso (riflesso dell’impotenza dell’eroe), c’è il voyeurismo, c’è l’ironia. E c’è tanta, tanta tensione, scatenata in un contesto quotidiano ripreso dagli occhi di uno dei protagonisti.

 

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Fonte: https://www.cinquecosebelle.it/cinque-tra-i-film-thriller-piu-belli-di-sempre/

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