Ama volare. Guardare il cielo ad altezza cielo. Il Texas, dove è nato e cresciuto. Il mondo. Dal 1992 il suo rifugio creativo ha un indirizzo: The Watermill Center, Long Island, Southampton, due ore circa da New York. Non una semplice casa, non solo una scuola. Ma, come ci racconta Robert Wilson, il più acclamato, poliedrico affabulatore americano: «Un laboratorio internazionale per il pensiero creativo: un luogo di dialogo, aperto ad artisti di tutti i campi e di tutto il mondo». Come è nato il progetto? «Cercavo un angolo immerso nella natura», confida. «Negli Anni 60 avevo visitato Long Island e mi era piaciuta molto. Sono sempre stato attratto dal paesaggio e dalla luce. Einstein ha detto che la luce è la misura di tutte le cose. Senza luce, lo spazio non esiste». Prima dell’arrivo di Wilson, The Watermill era un laboratorio per scienziati nel settore delle telecomunicazioni. Oggi, il party estivo di beneficenza – con cui si sostengono parte delle attività di formazione – viene definito dallo scrittore statunitense Jay McInerney come «il più scalmanato e irresistibile party degli Hamptons».
Negli anni The Watermill ha cambiato più volte fisionomia, prendendo forma dall’immaginario di Wilson: un universo di movimenti lenti, sospensioni, traiettorie di sguardi prima che di passi, vuoti da riscrivere con storie, poesie, suoni, il design come punteggiatura perfetta di un’estetica tendente all’assoluto e al controllo del dettaglio anche più infinitesimale. «Ho sempre immaginato quest’architettura in diversi modi», racconta il regista che a metà dei Settanta, in coppia con il compositore Philip Glass, ha conquistato il mondo con un capolavoro, l’opera Einstein on the Beach. Racconta: «The Watermill è come un albero. Il piano interrato – le radici – ospita gli archivi delle collezioni d’arte e la biblioteca. Poi c’è l’edificio principale, che è come un tronco, dove c’è spazio per lavorare, provare, organizzare conferenze e seminari, preparare un pasto. E vivere, a questo servono gli appartamenti del centro».
Il suo approccio al design? «Comincio con una pagina vuota e inizio a fare disegni. Poi cerco di ascoltare i disegni, mi dicono cosa fare». La stessa filosofia governa gli spazi del centro: «È importante che lo spazio abbia una natura flessibile, in grado di accogliere attività sempre diverse. A Watermill viviamo a contatto con l’arte, fuori e dentro l’edificio. La maggior parte della collezione (5mila pezzi, fino al 5000 a.C.) è ospitata negli archivi, ma i pezzi possono essere rimossi e collocati negli ambienti di lavoro così come negli spazi abitativi. Nulla è per sempre». Nelle grandi sale del centro ogni traccia conquista un suo spazio, sia essa una scultura asiatica, una ceramica africana, due scarpe che una volta erano del coreografo Balanchine, una sedia di Gerrit Rietveld, una, dieci, cento sedie disegnate da Robert Wilson, libri, fotografie, film e altri documenti. «Tutta l’esperienza umana e le tradizioni in tutta la loro diversità sono un trampolino di lancio per il futuro».
Lo stesso spirito anima fino al 15 ottobre 2017 Villa Panza a Varese, dove è aperta al pubblico la mostra Robert Wilson for Villa Panza. Tales. Protagonisti i celebri Video Portraits e altre sorprese: «I Video Portraits sono come una finestra in una stanza. Puoi guardare fuori e vedere un’immagine. Quando torni, magari dopo un’ora, l’immagine può essere leggermente cambiata, o per la luce o per il vento». Nelle sale di Villa Panza a osservarci dagli schermi c’è anche Lady Gaga. Mentre nel verde della Villa le parole del Rainer Maria Rilke di Lettere a un giovane poeta risuonano lente tra le pareti di legno di A House for Giuseppe Panza, una piccola casa in stile Shaker immersa tra alberi secolari. Un dialogo tra Wilson e il grande collezionista. Sottile filo rosso, la luce.
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Fonte: http://living.corriere.it/case/autore/the-watermill-center-robert-wilson/
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