Chi ha tempo non aspetti tempo. Tempo al tempo. Chi ha tempo ha vita. Il tempo è galantuomo. Il tempo cura le ferite. Tempus fugit. Sono solo alcuni dei numerosissimi proverbi e modi di dire tipici della lingua italiana che riguardano il tempo. Siamo però certi che anche se ci spostassimo in Gran Bretagna, in Francia o in Germania troveremmo detti del tutto simili. Perché quello del tempo è un argomento che ha sempre stimolato la fantasia dei popoli.
D’altronde, il tempo segna la vita di tutti, nobili e umili, ricchi e poveri. E tutti se lo vedono spesso scappare davanti agli occhi, scoprendosi vecchi prima di esserselo goduti appieno. Tutti elementi che la saggezza popolare ha più volte cercato di cristallizzare in frasi tanto sintetiche quanto efficaci.
Filosofi, poeti e scrittori
Ma ad aiutarci nel tentativo di districare la matassa del tempo non sono solo i proverbi. Ci hanno provato anche filosofi, poeti, scrittori, pensatori di tutti i tipi. Da Sant’Agostino a Kant, da Orazio col suo Carpe diem a Proust con la sua elegia del tempo perduto, tutti hanno cercato di spiegarcelo. E alcuni ci sono riusciti in modo particolarmente efficace, coniugando sintesi, bello stile e profondità di pensiero.
Tra questi autori ne abbiamo scelti cinque che ci sembrano particolarmente significativi. Arrivano tutti dagli ultimi due secoli perché mai come in questo periodo il tempo – con la velocità della modernità – ha acquisito un peso fondamentale. Scopriamoli assieme.
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Il tempo, figlio illegittimo dell’eternità
Una frase di Gesualdo Bufalino
Cominciamo da un autore forse meno noto degli altri che abbiamo inserito nella nostra cinquina, ma non per questo meno importante. Gesualdo Bufalino, pur approdato molto tardi ai successi letterari, è stato infatti un narratore di grande vigore e forza, degno di essere annoverato tra i grandi del ‘900 italiano, che pure è stato un secolo da questo punto di vista molto florido. E lo è stato anche in rapporto al tempo, un tema che ha affrontato più volte nella sua opera e che ha avuto un peso particolare anche nella sua biografia.
Come accennavamo, Bufalino è stato scoperto molto tardi, e in questo senso la sua vicenda ricorda quella di Andrea Camilleri. Ad accomunare i due, anzi, non è solo il destino letterario: c’è alla base la comune ammirazione per Leonardo Sciascia ma anche il lavoro della casa editrice Sellerio, a cui in entrambi i casi va attribuito il merito della scoperta. Bufalino pubblicò infatti il primo romanzo nel 1981, a sessantuno anni d’età, solo perché proprio Sciascia ed Elvira Sellerio insistettero a lungo con lui perché tirasse fuori dal cassetto i suoi lavori.
Dio violentò l’Eternità: nacque un frutto della colpa e fu il Tempo.
(Gesualdo Bufalino)
Per lui il tempo è stato quindi in un certo senso tempo perduto e poi recuperato. Ma non solo questo. La sua prosa e la sua riverenza verso i classici denotano il suo grande amore per il passato, che non era però mai fine a se stesso. Per lui il passato era la chiave per aprirsi al futuro, i libri il mezzo attraverso cui imparare ad affrontare le nuove sfide.
I classici e il latino
Così la leggenda vuole che da insegnante di lettere in un Istituto Magistrale – il mestiere che occupò gran parte della sua vita – conversasse in latino con il suo preside e che conoscesse a memoria lunghe e dotte citazioni. Ma allo stesso tempo era straordinariamente interessato all’educazione delle giovani generazioni.
E questa natura ambigua del tempo, che è insieme condanna e meraviglia, emerge dalla sua frase, degna del grande aforista che Bufalino fu anche in vita. Il tempo è figlio dell’eternità, ma è una sua forma ridotta e mortificata. Non solo: è anche una pena, che si può spiegare solo appellandosi a una sorta di peccato originale. Un peccato che secondo Bufalino non è però commesso dall’uomo, come la religione ci insegna, ma in un certo senso da Dio stesso.
Dimenticare il tempo
Il pensiero di Charles Baudelaire
Il sogno di ogni poeta è che i suoi componimenti divengano immortali. La stessa poesia non si spiegherebbe, altrimenti, se non come un nobile tentativo di sconfiggere il tempo e l’oblio, fissando su carta i pensieri e le sensazioni maturate in un dato momento. Quindi è abbastanza scontato che in questa nostra lista trovino spazio anche vari poeti, e tra questi anche Charles Baudelaire, uno di quelli che si è interrogato di più sulla caducità della vita e proprio sull’oblio.
Nato a Parigi e lì morto ad appena 46 anni – consumato dal laudano e dalla sifilide –, Baudelaire è stato sicuramente il più grande poeta della sua generazione. Padre del simbolismo, anticipatore del decadentismo, ha lasciato un segno indelebile nella poesia francese con la pubblicazione de I fiori del male, raccolta poetica che ancora oggi non smette di stupire ed incantare i lettori di tutto il mondo.
C’è solo un modo di dimenticare il tempo: impiegarlo.
(Charles Baudelaire)
Il tempo, nella poetica di Baudelaire, è vissuto soprattutto nel senso del rapporto con la contemporaneità. L’Ottocento fu un secolo di grandi cambiamenti, e Baudelaire seppe percepirli prima di altri. Un secolo in cui la società si apprestava a cambiare in maniera irrevocabile, e con essa a cambiare sarebbe stata la vita. Alla velocità, però, Baudelaire contrapponeva spesso l’ozio, soprattutto quell’ozio derivante dalla mancanza di uno scopo in una vita percepita come priva di senso.
Lo spleen
Questo malessere esistenziale venne da Baudelaire sintetizzato nel concetto di spleen, un disagio che deriva dall’incapacità del poeta di adattarsi al mondo e ai suoi ritmi. Una forma di depressione cupa da cui è impossibile sfuggire e che porta a rifugiarsi in paradisi artificiali, nella dipendenza da alcool e oppiacei.
Tenendo conto di questo si spiega anche la frase di Baudelaire che abbiamo riportato qui sopra. Una frase in cui, ricollegandosi quasi a Pascal, si manifesta l’idea che solo trovandosi occupazioni e distrazioni si possa dimenticare il tempo e tutto il malessere ad esso associato.
L’elasticità del tempo
La saggezza di Marcel Proust, uno che se ne intendeva
Se si mettono insieme tempo e letteratura, il pensiero non può che correre a Marcel Proust, lo scrittore che più di tutti ha trattato l’argomento. La sua opera principale – e quasi l’unica, se si escludono un paio di scritti giovanili – è infatti il maestoso romanzo Alla ricerca del tempo perduto, pubblicato per la prima volta a cavallo della Grande guerra, in 7 volumi.
In quel lavoro in buona parte autobiografico, Proust si interrogava sul significato del ricordo. Immaginando l’insonnia del narratore, ripercorreva la vita di quell’io che di tanto in tanto veniva chiamato Marcel, e che finiva, dopo mille vicissitudini, per diventare scrittore. Ma la scrittura non era la chiave o l’obiettivo principale: quello che contava era il ricordo, era il fatto che l’arte potesse riportare in vita un tempo passato e irrimediabilmente perduto, trasformandolo in un “tempo ritrovato”.
Il tempo di cui disponiamo ogni giorno è elastico: le passioni che proviamo lo dilatano, quelle che ispirano lo restringono, e l’abitudine lo riempie.
(Marcel Proust)
Nei sette romanzi della lunga saga scopriamo quella che fu veramente la vita di Proust, trasfigurata dal suo ricordo e da alcuni suoi mascheramenti. Manca, solo per fare un esempio, uno degli elementi chiave della sua biografia, l’omosessualità, che lo scrittore francese non confessò mai pubblicamente. Così le varie “fanciulle in fiore” di cui Marcel si innamorava nel romanzo sono state interpretate spesso dai critici come trasfigurazioni dei suoi amori maschili, in primis del suo autista, con cui ebbe una lunga relazione.
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Ma ancora, quello che contava veramente non erano i fatti o le vicende biografiche. Contava la nostalgia malinconica, contava la capacità di ritornare a sentire le emozioni che si erano provate, magari semplicemente assaggiando un biscotto che non si mangiava da molto tempo. E durante questa indagine Proust percepiva la straordinaria complessità del tempo, che era interiore ed esteriore, veloce e lento, pieno e vuoto allo stesso momento.
Così si spiega anche la frase che abbiamo scelto come sua citazione più emblematica. Il tempo non è mai oggettivo, come la scienza ritiene di insegnarci. Il tempo è un insieme di memorie e ricordi, di felicità e infelicità passate. Le passioni rendono un momento eterno, ma lo fanno anche passare in un attimo. Mentre, in mezzo tra questi momenti “forti”, c’è abitudine e noia, oltre che rimpianto per quello che è stato.
Tra passato e futuro
I rilievi di Ernst Jünger
Ernst Jünger è stato uno di quegli scrittori che in genere si definiscono controversi. Militarista, nazionalista, nel dopoguerra fu accusato di connivenza col regime hitleriano nonostante ne fosse stato a suo modo un oppositore e nonostante suo figlio fosse morto proprio a causa di idee anti-naziste. Soldato volontario della Legione Straniera e, successivamente, dell’esercito tedesco, membro dei famigerati Freikorps, anticomunista e antisemita, Jünger padre aveva comunque molte colpe da farsi perdonare.
La sua fama letteraria, molto forte negli anni ’20 e ’30 del ‘900, era legata proprio a queste sue esperienze di guerra. Il suo primo libro uscì nel 1920, pubblicato a proprie spese dal padre: si trattava di Nelle tempeste d’acciaio, in cui raccontava la propria esperienza nella Prima guerra mondiale, durante la quale fu ferito ben 14 volte e più volte decorato.
Il tempo ciclico e il tempo progressivo sollecitano due stati d’animo fondamentali dell’uomo, il ricordo e la speranza. Sono i due edificatori della sua dimora. In loro s’incontrano padre e figlio, spirito conservatore e spirito riformatore.
(Ernst Jünger)
Scrisse molto anche dopo, sempre concentrandosi su racconti di guerra segnati da un acceso militarismo. In quegli anni fu, in un certo senso, la controparte “di destra” di Erich Maria Remarque. Più quest’ultimo – autore di Niente di nuovo sul fronte occidentale – rimarcava l’assurdità della guerra, più Jünger invece sottolineava la sua nobiltà e virilità.
Fu anche per questo che il nazismo, quando giunse al potere, cercò di renderlo il proprio intellettuale di riferimento. Ma Jünger, che era un conservatore elitario e poco comprendeva la retorica delle masse, rifiutò sempre ogni coinvolgimento. Continuò a scrivere, però, e ad esaltare la propria idea di guerra in cui l’uomo può mostrare il proprio valore.
Le due concezioni del tempo
Così si spiega anche la frase che abbiamo scelto, giocata in equilibrio tra passato e futuro. Jünger, riprendendo una riflessione tipica della storia della filosofia che era già stata fatta propria anche da Nietzsche, presenta i due modi di intendere il tempo. Da una parte c’è la visione progressiva o lineare, in cui tutto accade una sola volta e che naturalmente porta a spingersi in avanti, verso il futuro e la speranza. Dall’altro c’è la visione circolare o ciclica, in cui tutto è destinato a ripetersi e in cui il ricordo ha un peso fondamentale.
Generalmente, i filosofi propendevano o per l’una o per l’altra visione, traendone una diversa immagine antropologica. Jünger invece sembra sostenere che nell’uomo queste visioni antitetiche in un certo senso convivano, edificando la sua ambivalenza tra passato e futuro, tra ricordo e progresso.
Perché per i vecchi il tempo passa più in fretta
L’analisi di Alvin Toffler
Concludiamo con una frase più lunga ma secondo noi emblematica. Una frase che, a ben guardare, non dice nulla che già non sapessimo, che già non avessimo compreso dalla nostra esperienza di vita. Ma lo dice in modo particolarmente convincente, e per questo secondo noi degno di nota.
L’autore è Alvin Toffler, saggista newyorkese scomparso da poco ma autore, tra gli anni ’70 e ’80, di alcuni dei più importanti saggi sui cambiamenti dell’informazione e della società. In questi libri – apparsi anche in Italia ma oggi spesso fuori edizione – è stato tra i primi a parlare di un nuovo tipo di guerra, non più militare né economica, ma appunto informativa o mediatica. Questa guerra si sta consumando e si consumerà anche in futuro nel confronto tra vecchi e nuovi media, tra libro, TV ed elementi della “terza ondata”, cioè computer e internet.
È matematicamente dimostrabile che la concezione del tempo è in stretto rapporto con l’età: per i vecchi il tempo passa più in fretta.
Quando un uomo di 50 anni dice al figlio quindicenne che dovrà aspettare due anni per avere la macchina, quell’intervallo di 730 giorni rappresenta solo il quattro per cento della vita del padre, ma è ben il 13 per cento di quella del figlio. Non deve quindi stupire se al ragazzo l’attesa sembra tre o quattro volte più lunga che al padre. Così pure, due ore nella vita di una bambina di quattro anni possono essere equiparate a 12 ore nella vita della sua mamma. Chiedere alla bambina di aspettare due ore una caramella è come chiedere alla mamma di aspettare 14 ore per bere un caffè.
(Alvin Toffler)
La sua analisi del tempo, spesso condotta assieme alla moglie Heidi, riguarda quindi soprattutto i cambiamenti dei media e della velocità di comunicazione. In Lo choc del futuro, però, si è lasciato andare alla digressione che potete leggere qui sopra, che è diventata abbastanza famosa. E che sottolinea come il tempo scorra in maniera molto diversa a seconda dell’età che si ha (e di quanto tempo si sia già vissuto).
Segnala altre significative frasi sul tempo nei commenti.
Il post Cinque significative frasi sul tempo è apparso su Cinque cose belle.
Fonte: https://www.cinquecosebelle.it/cinque-significative-frasi-sul-tempo/
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