Prima o poi tutti si trovano ad affrontare un colloquio di lavoro. Non tutti sanno però che l’esito è influenzato anche da una serie di fattori inconsci che condizionano positivamente o negativamente il valutatore.
In queste occasioni si cerca di arrivare pronti, sia dal punto di vista della preparazione tecnica, attinente al tipo di organizzazione lavorativa di cui si vuole far parte, sia dal punto di vista fisico/estetico. In pratica si cerca di dare una “buona” impressione, la migliore possibile, per dimostrare di essere idonei a ricoprire quella posizione per la quale si sta facendo il colloquio.
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Purtroppo, però, spesso tutto questo non basta. Infatti, chi è chiamato a giudicarci e a dare una valutazione su di noi, chi quindi ha un ruolo determinante per il nostro lavoro, viene influenzato da una serie di fattori che, seppur inconsapevolmente, possono portarlo a degli errori di valutazione e che, utilizzando una terminologia psicologica, prendono il nome di “distorsioni cognitive”.
Le difficoltà e le scorciatoie
Per assicurare una valutazione corretta occorrerebbe che il valutatore da una parte avesse a disposizione moltissimo tempo, dall’altra tutta una serie di informazioni di cui non si ha la disponibilità. Ci si può quindi fare un’idea del candidato in esame ma non si potrà mai conoscere tutto di lui.
Per questo motivo l’uomo adotta delle scorciatoie mentali o “eurismi” o strategie “euristiche” che gli permettono di prendere una decisione il più possibile giusta accontentandosi delle informazioni disponibili, con un risparmio in termini di tempo e sforzo cognitivo. Tuttavia non è detto che la decisione presa sia al 100% quella giusta perché gli eurismi hanno sempre un margine di errore.
Quali sono allora le possibili sviste o le intuizioni a cui il candidato può andare incontro durante un colloquio di lavoro, deludendo o superando le sue stesse aspettative? Scopriamolo assieme.
La prima impressione
«Quella che conta»
Ahimè, il famoso detto citato nel titolo di questo paragrafo dice una cosa vera. Chi ci giudica si forma un giudizio, un’idea su di noi già nell’arco di qualche secondo, e questa idea sarà molto difficile da cambiare. Può venire smussata sotto diversi aspetti, ma per questo occorre del tempo, sicuramente maggiore di quello di un colloquio. Le prime impressioni infatti sono quelle più forti e durevoli, quindi difficili da modificare.
La prima impressione condizionerà inevitabilmente il giudizio su di noi durante il colloquio, sia che questa sia positiva, sia che sia negativa. Ciò che è importante è che bisogna avere consapevolezza dell’esistenza dell’effetto della prima impressione, cercando – se si è l’esaminatore – di non farsi condizionare, anche se si tratta pur sempre di un processo inconscio.
I rischi
Spesso, però, la prima impressione è anche l’ultima. Quando giudichiamo gli altri tendiamo a focalizzare l’attenzione su alcuni aspetti che riteniamo importanti, che ci colpiscono particolarmente, e rimaniamo fedeli ad essi. La conseguenza di questo errore è quella di mettere delle etichette alle persone e in un ambiente lavorativo nella maggior parte dei casi questo è uno svantaggio. Anche perché, se facciamo una cattiva impressione, rischiamo di diventare la “pecora nera” del gruppo di lavoro.
L’effetto alone
Quando un dettaglio influenza il giudizio generale
Può capitare che se ci presentiamo al colloquio di lavoro vestiti con molta cura e molto alla moda, chi ci giudica pensi che la stessa attenzione per i particolari che mettiamo nel nostro abbigliamento la mettiamo anche in tutto quello che facciamo. Al contrario, se arriviamo vestiti in modo trasandato, si può pensare che lo stesso atteggiamento di menefreghismo caratterizzi anche altri aspetti del nostro carattere.
È vero che l’abbigliamento è una forma di comunicazione non verbale che ha la sua importanza, tuttavia non è detto che vi sia una corrispondenza tra il modo di vestire ed altri aspetti del carattere.
Giudizi affrettati
Questo è normalmente denominato “effetto alone”. Ovvero, dare per scontato che se una persona si veste in un certo modo, si comporterà in un certo modo. Tutto questo porta ovviamente a dei giudizi e a valutazioni affrettati, in quanto non è detto che corrisponda alla realtà.
L’effetto alone non riguarda solo l’abbigliamento (questo è solo un esempio), ma può coinvolgere tutte le “facce” di una persona. Se qualcuno reagisce in un modo ad un evento, si può pensare che anche in altre situazioni reagirebbe allo stesso modo. L’attenzione al particolare e ad alcune caratteristiche della persona, però, dipende anche da come è fatto chi osserva. E, nel caso del valutatore, essere a conoscenza di questo errore può evitare di portare a giudizi affrettati.
L’effetto di contrasto
Quando si viene valutati più volte o dopo altri candidati
Ci sono casi in cui il colloquio di lavoro è composto da più fasi. Per esempio, una prova scritta più prettamente tecnica e poi un colloquio orale più incentrato sulla motivazione e le aspettative del lavoratore all’interno di quella organizzazione lavorativa. In quei casi, è inevitabile che se si ha preso un punteggio alto alla prova scritta, il valutatore alla prova orale sarà più bendisposto. Al contrario, se alla prova scritta si ha avuto un punteggio basso, chi è chiamato a valutarvi durante la prova orale presumibilmente non partirà intenzionato a dare un buon giudizio.
Un’altra situazione in cui si può verificare l’effetto di contrasto, inoltre, è quando il colloquio viene fatto successiavamente o in concomitanza ad altri candidati. In queste situazioni il giudizio viene dato facendo un paragone con gli altri.
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Se ad esempio un candidato viene valutato in maniera scadente, il successivo può essere valutato in maniera migliore rispetto a come sarebbe andata facendo il colloquio da solo, perché è stata presa come termine di paragone la persona precedente. Quindi l’effetto di contrasto si ha quando si valuta una persona confrontandola con altre, o con quella stessa persona in un’altra situazione. Ovviamente non sempre questo ha un risvolto negativo, tuttavia la valutazione non è necessariamente veritiera.
L’effetto primacy/recency
Dare importanza ad alcune parti della conversazione
Un buon consiglio per affrontare al meglio il colloquio di lavoro è considerare che in quell’occasione potrebbe verificarsi anche l’effetto primacy. Ovvero un effetto che consiste nel dare un peso maggiore alle informazioni ricevute durante la prima parte del colloquio. Attenzione, però: bisogna distinguerlo dall’effetto prima impressione. Infatti se il primo riguarda il non verbale (atteggiamenti e sensazioni), l’effetto primacy riguarda invece il verbale, cioè quello che si dice.
Così, quando il candidato si mostra pronto e peparato all’inizio del colloquio, il valutatore tende a ricordare le prime informazioni ricevute e invece dimentica più velocemente le risposte date nella seconda parte (sia che siano negative, sia che siano positive), dando loro minore importanza. Al contrario, si può verificare anche l’effetto recency: in questo caso, infatti, viene data più importanza alla fase finale della conversazione.
Lo studio di Miller e Campbell
Per quanto riguarda la prevalenza dell’uno o del’altro effetto, nel 1959 Norman Miller e Donald Campbell hanno dimostrato che questa dipende da un lato dall’arco di tempo che intercorre tra la prima e la seconda parte della conversazione e, dall’altro, da quello tra l’inizio dell’ultima parte e il momento in cui si deve prendere una decisione.
L’effetto primacy prevale quando l’intervallo di tempo tra le due fasi della conversazione è ridotto e invece è più lungo il tempo che separa l’ultima parte dal momento di presa di decisione. Viceversa l’effetto recency domina quando l’intervallo di tempo tra inizio e ultima parte è lungo e quello tra seconda parte e momento del giudizio è breve. Quello che è certo è che la parte centrale del colloquio è quella meno importante, mentre quella iniziale e finale restano più impresse e condizionano il giudizio.
L’effetto equazione personale
Quando si apprezza se stessi si apprezzano gli altri
L’effetto “equazione personale” consiste nel dare una valutazione positiva a persone con caratteristiche simili alle proprie. Quando si ha di fronte un candidato somigliante a sé sotto uno o più aspetti si tende naturalmente a giudicarlo positivamente. Ad esempio, se il valutatore è un tipo ordinato, nel momento in cui il candidato afferma che una sua prerogativa è l’ordine nel luogo in cui lavora verrà più facilmente giudicarlo in maniera positiva. La stessa cosa vale anche per gli aspetti negativi.
In questo senso simulare affinità col proprio valutatore può essere utile ai fini del risultato del colloquio. Inoltre, è stato notato che se il valutatore è un uomo o una donna cambia l’atteggiamento nei confronti di un candidato uomo o donna.
Sfruttare i meccanismi inconsci
Tutte queste caratteristiche e particolarità sono intrinseche al nostro modo di giudicare. Il valutatore può cercare di ridurle e, per farlo, deve prima di tutto rendersi consapevole della loro esistenza. Per quanto ci si possa sforzare di essere imparziali, però, a volte l’inconscio continua a prevalere sulla razionalità. E questo non è sempre un male, soprattutto dal punto di vista del candidato, che, conoscendo questi meccanismi, può imparare a sfruttarli a proprio vantaggio.
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Il post Cinque cose da sapere e consigli per un colloquio di lavoro è apparso su Cinque cose belle.
Fonte: https://www.cinquecosebelle.it/cinque-cose-da-sapere-consigli-colloquio-di-lavoro/
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