giovedì 9 febbraio 2017

Cinque indimenticabili frasi di Bruce Springsteen tratte dalle sue canzoni

 
Quando si pensa a Bruce Springsteen, in genere la nostra mente va alla sua immagine di rocker, ancora molto forte e viva nonostante il passare degli anni. Un’immagine sincera, non costruita ad arte ma nata dalla reale personalità di Springsteen, capace di mostrare la sua passione per la musica anche dal modo con cui si fa trascinare una volta che sale sul palcoscenico.

Eppure, la vita di Bruce Springsteen non è per nulla quella tipica del rocker di successo. Come notava a suo tempo Bono degli U2, Springsteen non è mai stato arrestato per droga né coinvolto in scandali sessuali, non si è mai truccato né vestito in modo imbarazzante. È sempre rimasto fedele a se stesso, alla propria etica e alla propria estetica, come dimostrano anche i dischi e le uscite pubbliche degli ultimi anni.

La coerenza del rocker

Un’immagine, quella di Springsteen, che si basa fortemente anche sulle canzoni che il musicista del New Jersey ha inciso lungo la sua carriera. Sulla musica, a volte triste e a volte travolgente, ma anche sulle parole, che tanta parte hanno avuto nel successo del Boss. Visto che in passato abbiamo già dedicato un articolo alle sue canzoni più belle e famose, oggi vogliamo proprio concentrarci sul testo e sulle frasi più belle da lui musicate.

Come vedrete, le nostre cinque scelte arrivano dal primo decennio della carriera del Boss. Un decennio intenso, che gli permise di arrivare in testa alle classifiche di tutto il mondo e di diventare la voce dell’America profonda ma allo stesso tempo desiderosa di lottare e guardare avanti. L’America degli sconfitti che però non smettono di provarci. Ecco perché quelle frasi hanno, soprattutto oggi, una valenza che va oltre quella puramente musicale.


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A testa alta

Da New York City Serenade (1973)

The Wild, the Innocent & the E Street Shuffle è il secondo album di Bruce Springsteen, anche se uscì appena dieci mesi dopo il primo, quello d’esordio. Era il 1973 e il Boss aveva appena 24 anni, ma già una voce abbastanza possente da reggere certe canzoni e un’impostazione sonora che si stava facendo più matura. L’album, infatti, faticò a farsi conoscere al grande pubblico ma venne salutato con recensioni molto favorevoli da parte della stampa ed è oggi considerato un tassello indispensabile nella crescita di Springsteen.

Al suo interno si trovano, non per nulla, alcuni capolavori come 4th of July, Asbury Park (Sandy) e Rosalita (Come Out Tonight). E non è un caso che nel 2003, trent’anni dopo la sua uscita originaria, la rivista Rolling Stone l’abbia messo al centotrentaduesimo posto nel suo elenco dei 500 migliori dischi della storia del rock.

Perciò cammina a testa alta, oppure piccola non camminare affatto.
[So walk tall, or baby don’t walk at all]

La frase che vedete qui sopra arriva dal brano conclusivo di quell’album, New York City Serenade. Un pezzo che nella registrazione originale durava 9 minuti e 55 secondi e che è ancora oggi il più lungo brano inciso su disco da Springsteen. Ma erano dieci minuti epici. Giocando a metà strada tra il racconto alla Bob Dylan e alla Lou Reed e l’intimistico brano jazz, il Boss riusciva a commuovere ed incantare, mostrando già a poco più di vent’anni che avrebbe avuto ancora molto da dire.

Il verso che abbiamo citato, in particolare, arrivava alla chiusura della prima strofa, in cui il cantante introduceva i personaggi di Billy e Jackie, spersi in una Manhattan notturna. Questa prima parte veniva da un brano a cui Springsteen aveva lavorato a lungo – intitolato provvisoriamente New York City Song – che poi si fuse con un altro pezzo in divenire, Vibes Man, per dare vita a questa originale e romantica serenata.

 

Una città piena di perdenti

Da Thunder Road (1975)

Come abbiamo detto, The Wild, the Innocent & the E Street Shuffle convinse i critici ma non più di tanto il pubblico, che in quegli anni ancora non riusciva a notare il talento cristallino di Bruce Springsteen. L’attesa per il successo, per il cantante del New Jersey, non sarebbe però dovuta durare ancora a lungo. Già due anni più tardi, nel 1975, diede infatti alle stampe Born to Run, che a differenza dei dischi precedenti ebbe un successo clamoroso.

Il disco è un capolavoro che ancora oggi, a più di 40 anni di distanza, lascia a bocca aperta, per la profondità delle canzoni, per la corposità della musica, per la maturità di uno Springsteen ormai artista completo. L’apertura dell’album era riservata a Thunder Road, un altro pezzo drammaticamente romantico che non divenne un singolo, ma è ancora oggi uno dei più amati dai fan di Springsteen.

È una città piena di perdenti e me no sto andando per vincere.
[It’s a town full of losers, and I’m pullin’ out of here to win]

La storia raccontata nella canzone è quella di un ragazzo che si presenta da Mary, una coetanea colta nel momento in cui balla, davanti a casa, sulle note della radio. I due non sono più così giovani e lei non è neppure così bella, ma c’è – secondo le parole del cantautore – della magia nell’aria.

Poco contano i dolori del passato, che entrambi hanno vissuto. Perché c’è un modo per rimediare, per ricominciare, ed è andarsene da quella città. Per questo il protagonista ha con sé un’auto che può portare ovunque, verso una terra promessa, lungo la strada del tuono. E proprio qui, in conclusione, subito prima di uno stupendo ed esplosivo assolo, arrivano le parole che abbiamo citato, parole che, lette fuori dal contesto, potrebbero sembrare retoriche o stupide, ma che qui, dopo i discorsi di Springsteen, assumono un significato diverso, eroico e poetico.

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Rendere reale un sogno

Da Badlands (1978)

Proseguiamo il nostro percorso lungo la carriera discografica di Bruce Springsteen arrivando a Darkness on the Edge of Town. L’album, uscito nel 1978, doveva essere quello della conferma. Perché, come si sa, il difficile a volte non è raggiungere il successo, ma fare in modo che tutto non si riduca a un unico colpo di cannone. L’album dissipò ogni dubbio, perché si dimostrò subito ai fan e alla critica come un capolavoro degno di stare al livello del disco precedente.


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Mancarono, è vero, dei singoli in grado di entrare in classifica, dei pezzi trascinanti e coinvolgenti capaci di dare tutto nello spazio di 3 o 4 minuti. Ma il disco nel suo complesso era straordinario e anche i singoli brani, lasciati crescere nelle orecchie e nel tempo, si rivelavano dotati di una forza straordinaria sia a livello musicale che testuale.

Parlare di un sogno. Provare a renderlo reale.
[Talk about a dream. Try to make it real]

L’apertura era riservata a Badlands, una canzone dura e veloce, in cui gli arrangiamenti ricordavano il lavoro messo a punto in Born to Run ma il testo risentiva di un clima di insoddisfazione che sembrava emergere ovunque in quegli anni. Non a caso qualcuno ha accostato le frasi di questa canzone a quelle della coeva musica punk, anche se in Springsteen c’è sempre un afflato romantico ricco di fiducia.

La frase che abbiamo scelto arriva all’inizio della seconda strofa, quando il personaggio si è ormai presentato e chiede a una ragazza di ascoltarlo. E serve per aprire il tema vero della canzone, che, appunto, è quello della speranza. Ci si sveglia di notte con la paura, si passa la vita ad aspettare un momento che non arriva mai, ma si può parlare anche di un sogno e tentare di renderlo reale.

 

Grow young again

Da No Surrender (1984)

Dopo aver analizzato a lungo gli anni ’70, spostiamoci ora al decennio successivo. Nel 1984 uscì l’album di maggior successo di tutta la carriera di Bruce Springsteen, Born in the U.S.A. Un album spesso frainteso, tanto è vero che Ronald Reagan cercò di usarlo per la sua campagna elettorale della rielezione. Suscitando le ire dello stesso Springsteen.

Nonostante l’album fosse pieno di singoli orecchiabili e mostrasse in copertina una gigantesca bandiera americana (oltre al sedere di Springsteen fotografato da Annie Leibovitz), il disco infatti non intendeva per nulla esaltare l’orgoglio americano. Voleva, invece, mostrare le difficoltà e la forza degli umili d’America, della classe operaia, dei veterani del Vietnam e di altri “reietti” più o meno consapevoli della società.

Ora sono pronto per ritornare un’altra volta giovane.
[Now I’m ready to grow young again]

No Surrender apriva il lato B del disco ed era stata inclusa a fatica, soprattutto dietro le insistenze di Steven Van Zandt. In compenso, è diventata una delle canzoni più significative di Springsteen proprio dal punto di vista del testo, tanto è vero che nel 2004 il candidato democratico alla presidenza degli Stati Uniti, John Kerry, la scelse come inno della sua campagna elettorale. E questa volta Springsteen, democratico dalla notte dei tempi, concesse volentieri il brano.

La canzone è zeppa di frasi che piacciono ai fan del Boss. Ad esempio, già all’inizio si può sentire la celebre: «We learned more from a three minute record, baby, than we ever learned in school». Ma più in generale il brano è dedicato al potere del rock, che sa creare legami e dare speranze. Così, quando Springsteen dice di vedere facce giovani invecchiare ed intristirsi, entrano in gioco i “fratelli di sangue” (ovvero i membri della band) con cui Bruce è pronto a ritornare giovane per il tempo di un altro brano.

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Senza una scintilla

Da Dancing in the Dark (1984)

Concludiamo con un altro pezzo tratto da Born in the U.S.A., Dancing in the Dark. Anzi, con quello che fu il primo singolo estratto dall’album, la canzone che cominciò a trainarne le vendite un mese prima dell’uscita ufficiale. Anche se nella tracklist ufficiale figurava verso la fine, subito prima della chiusura affidata a My Hometown, era infatti uno dei pezzi più orecchiabili e trascinanti di tutto il disco.

Ed è paradossale che sia così, visto che Dancing in the Dark racconta proprio della difficoltà di Springsteen di scrivere una hit. Secondo la leggenda, il disco era infatti pronto quando il produttore Jon Landau fece pressioni sul cantante del New Jersey per l’aggiunta di un ulteriore brano, da usare come singolo e lanciare alla radio. Dopo quella richiesta Springsteen tornò a casa di malavoglia, sentendo ingiustificatamente pressata la sua vena creativa.

Non puoi accendere un fuoco senza una scintilla.
[You can’t start a fire without a spark]

Date queste premesse, si comprende meglio il significato di alcuni versi. «I get up in the evening, and I ain’t got nothing to say», recita infatti la canzone all’inizio. E la stessa frase che abbiamo citato qui sopra – «You can’t start a fire without a spark» – starebbe ad indicare che l’ispirazione non è qualcosa che si può accendere a comando.

La canzone, però, può essere letta anche in molti modi diversi. Ed è questo il bello dei brani scritti da Bruce Springsteen: che spesso sono fin troppo chiari, ma in certi casi accennano e insinuano, senza dare una chiave di lettura univoca. E quindi si prestano ad essere letti ed ascoltati da ogni fan in maniera personale e diversa.

 

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Fonte: https://www.cinquecosebelle.it/cinque-indimenticabili-frasi-bruce-springsteen-tratte-dalle-sue-canzoni/

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